Il fiore del mio segreto
Cinema

Il fiore del mio segreto

  • (Nota dell’autore: una prima versione di questo articolo era già uscita sul sito ladisillusione.com)

Almodóvar costruisce attorno ad una delle sue interpreti favorite, Marisa Paredes, Il fiore del mio segreto (1995), film che vale forse più come magazzino di idee e spunti che come film in sé.

È un’opera di chiusura della prima fase della sua carriera, che precede la svolta data dal bellissimo Carne tremula (1997), in cui la scrittura ha una parte essenziale (destinata a ripetersi in futuro) e la danza fa capolino con il geniale Joaquín Cortés nell’ultima parte, dandoci già un segnale ignaro per il futuro Parla con lei (2003).

Leo Macías (Paredes) è una scrittrice di romanzi rosa con la cattiva coscienza ed il nome d’arte di Amanda Gris. Idolatra il marito Paco (Imanol Arias), militare in missione che è stanco delle sue turbe e desidera lasciarla, non decidendosi mai a tagliare i ponti; litiga con i suoi due editori per la svolta noir dei suoi testi; unici amici fedeli e premurosi sono la sua cuoca con il talento della danza (Manuela Vargas) e Angel (Juan Echanove), giornalista di El Paìs che s’innamora di lei e l’aiuta nei periodi bui.

Marisa Paredes in una scena del film. Fonte: Tumblr.com

Il film è una storia di disillusione, sul tracciato di Fassbinder e delle sue donne in gabbia che s’ammalano d’amore e di speranza: Le lacrime amare di Petra von Kant (1972) ed Il matrimonio di Maria Braun (1979) sono stelle polari di Almodóvar ma è Douglas Sirk a dargli il la per le cromie del film ed il rapporto uomo-spazio.

Come accade in Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988), la Spagna urbana sembra l’America vista attraverso il cinema anni ‘50 e si ha l’impressione, in questa pellicola, di poter bloccare i fotogrammi nelle scene con la Paredes, grattare l’immagine e trovare, sotto il suo volto, quello di Lauren Bacall.

Non indifferente è che il tutto sia immerso nelle luci immersive di Affonso Beato che lavora per contrasti di colori, senza renderli saturi o stridenti tra loro.

Nulla togliendo al lato estetico, va detto che è il tono a rendere disomogeneo il film: al racconto stilizzato della nevrosi si alternano infatti le sequenze dedicate alla sorella e alla madre di Leo, che vengono dal pueblo e danno sollievo a noi come alla protagonista dai suoi problemi d’amore.

Il ritratto di queste calorose e testarde provinciali è eseguito da Rossy DePalma e la mitica caratterista Chus Lampreave che in Spagna è amatissima. Almodovar dà loro i dialoghi più belli, genuini, toccanti nelle scene domestiche madrilene o nel loro villaggio d’origine: lì c’è già qualcosa di Volver per il tono tenero, franco e disteso che sembra staccarsi dal resto del film.

Leo (Marisa Paredes) al pueblo. Fonte: Tumblr.com

La semplicità e lo humour di quelle scene preannunciano la grazia della futura concentrazione drammaturgia del regista, che alla fine fa uscire la sua Leo dalla depressione con un ritorno salutare alla terra natia e con un brindisi che ricorda volutamente quello finale di Ricche e famose (1981) di George Cukor.

Di sicuro, La flor de mi secreto è un film che lascia soddisfatti a metà ma segna quantomeno un passaggio: è l’Almodóvar maturo che sta uscendo dal bozzolo e si sfila dal corsetto della cinefilia rigida e dedita al preziosismo.

La cosa che fa piacere è che quella vetta di Volver sia qui già in nuce, non solo per la parte dedicata al pueblo ma anche nella trama del libro contestato dagli editori della protagonista. È la realtà che intacca e filtra attraverso la stilizzazione.

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