Pittore tra i più importanti dell’Ottocento italiano, Pompeo Mariani (1857-1927), nasce a Monza il 9 settembre 1857, in una famiglia in cui, sin da giovanissimo, respira la passione per le arti, sviluppando l’amore per il disegno e per la musica.

Determinante per la formazione del suo gusto e degli imprintings decisivi per la futura carriera d’artista, è il contatto costante con i due zii materni, Mosè (1840-1904) e Gerardo Bianchi (1845-1922), entrambi pittori: il primo diventato famoso per il suo talento e la versatilità assoluta con cui padroneggiava le vedute, i quadri di Storia e i paesaggi (marini e non), con un’altissima duttilità di stile; il secondo, dopo una prima fase da pittore, si dedica alla fotografia supportando il fratello con i suoi positivi, utili per lo studio attento dei modelli scelti.
Accrescendo le sue predisposizioni naturali con la vicinanza ai due zii, inseritissimi nel milieu artistico della Milano di metà Ottocento, Pompeo sviluppa un gusto vivissimo per l’oggettività della fotografia e per la capacità lirica, interpretativa della pittura nei confronti della realtà.
Nel 1877, assunto presso l’Istituto di credito Cavagliani e Oneto, a causa di una simpatica caricatura del Direttore, il ragazzo si fa licenziare. Tanto forte è la propensione alle discipline artistiche che, oltre a proseguire nella passione per il disegno, Pompeo accarezza anche la possibilità di una carriera musicale, pubblicando una polka (‘Elisa’) composta nel 1878.
La svolta, sempre in quest’anno, avviene grazie al contatto col celebre pittore Eleuterio Pagliano (1826-1903)che diverrà il suo maestro: mantenendo per un po’ di tempo il segreto circa questo apprendistato che lo instrada verso uno studio serrato e attento del vero naturale, supportato da una spiccata memoria visiva, Pompeo predispone le fondamenta della sua futura carriera. Tenuto inizialmente all’oscuro degli studi artistici del nipote, Mosè Bianchi diventerà uno dei suoi sostenitori e consiglieri più fidati.
Assimilate le basi, è ora per il giovane Mariani di entrare nel mercato dell’epoca. Per coniugare lo studio di una più forte luce naturale e cavalcare l’orientalismo che sta proliferando nell’Italia umbertina, Pompeo decide di partire per Il Cairo a fine dicembre 1880. Resterà lì fino ai primi di marzo del 1881 assieme a due amici pittori, Sallustio Fornara e Uberto Dell’Orto, studiando i volti e i paesaggi locali, selezionando figure ed edifici, col supporto del disegno dal vero e delle foto degli studi di Pascal Sebah ed Emile Béchard.
Si avverte fin da queste prime opere la sua predilezione per un ‘respiro d’infinito cinematografico e ancora retaggio romantico (…) poi travasato anche nei mari e nelle spiagge dei suoi paesaggi liguri’ (Maria Flora Giubilei). Testimonianza del raggiungimento di una personale, istintiva felicità del gesto pittorico, è il quadro ‘Figure nel deserto’ (1882).

Tornati a Milano, i tre amici sono pronti per esporre alla Mostra Nazionale di Belle Arti, inaugurata il 5 maggio 1881: per Pompeo questo è il primo successo, con la vendita di una veduta dedicata al porto di Brindisi, da cui era partito per Il Cairo.
L’Oriente, pur ritratto in modo magistrale, è un punto di passaggio nella carriera di Mariani che presto si riduce in presenza all’interno della sua produzione. I lidi verso cui il pittore si rivolge sono piuttosto quelli del Mediterraneo settentrionale, le coste della Liguria amatissima: a queste dedicherà, ad esempio, un quadro destinato a farlo entrare nel gotha della pittura italiana, Il saluto del sol morente (1884).

L’opera è una delle più celebri tra quelle dedicate al porto di Genova, spesso raffigurato nelle più diverse atmosfere avendo come atelier Palazzo Doria, dove abita la sorella Anna (1856-1937) col marito Ignazio Pitscheider.

Grazie a questo quadro, Mariani riceve il Premio Principe Umberto nell’Esposizione della Reale Accademia di Belle Arti di Milano il 10 ottobre 1884; il successo del dipinto verrà poi replicato a Parigi l’anno successivo, con la Medaglia d’Oro nell’Exposition du Travail: da questo momento Mariani non è più una brillante promessa ma un pittore di conclamata fama europea, pronto a farsi conoscere dal raffinato pubblico dei collezionisti italiani ed esteri.
A Monza, nel 1887, affitta uno spazio all’interno di Villa Keller e questo diventa fino al 1907 lo studio per la sua attività di pittore paesaggistico e ritrattista (già avviata qualche anno prima con i ritratti dei familiari). L’alta società meneghina lo cerca e diventano presto celebri il suo ritratto della contessa Emilia Rossi (1887); Archivio Pompeo Mariani, Milano) e quello della signora Buddicom (1898; coll. privata; lo studio dell’opera è presso i Musei civici di Monza).
Continuano poi i premi e le esposizioni all’estero (ad es. la Medaglia d’oro alla terza Kunstausstellung di Monaco nel 1888); nel 1890 arrivano le commissioni regie, con quelle plurime per i ritratti di Umberto I di Savoia, in parallelo con acquisizioni prestigiose da parte di grandi del tempo.
Dal 1894 però, altri paesaggi cominciano ad affascinare Mariani in parallelo alle marine: sono le Zelate del Ticino, luoghi amati dai cacciatori, in cui il pittore riesce brillantemente a cogliere la lentezza quasi sospesa dell’elemento acquatico; a descrivere l’atmosfera sfruttando al massimo i grigi dei flutti e del cielo; a far notare la duttilità massima del suo gesto nella definizione del fogliame dei boschi.

L’interesse per questi luoghi, incrementato dal fatto che egli stesso fosse cacciatore per passione, non lo distoglie però dalla sperimentazione ulteriore nei quadri dedicati al mare. Ciò che affiora, in queste ultime marine, è una tendenza che si somma a quella contemplativa: quella narrativa, fatta del reciproco scambio tra i pensieri dei personaggi ritratti e il paesaggio che assorbe e dilata il loro anelito.
Lo specchiamento simbolico tra figura e natura, tra interiorità ed orizzonte esterno, si nota nel quadro ‘L’innamorata del mare’ (1897) e ‘Le temerarie’ (1898): quadri in cui l’orizzonte esprime, materializzandoli, i pensieri delle protagoniste che si affidano alla contemplazione. L’alchimia della composizione si nutre di una sintesi psicologica espressa in un’unità aperta e allusiva, di grande impatto icastico.
Questa vena di Mariani, quale ‘narratore d’insieme’ nel contesto del paesaggio naturale e quello umano, non è stata abbastanza toccata dalla critica. La mancanza si rivela soprattutto se consideriamo una parte altrettanto vasta ed importante della sua produzione, quella dedicata al racconto della vita moderna di fine Ottocento ed inizio Novecento.
I quadri e i bozzetti legati alla velocità, al lusso e alla dolcezza di vivere della Belle Époque si concentrano soprattutto negli anni Dieci del XX secolo e testimoniano ulteriormente la sua padronanza totale dell’acquerello, della china, del carboncino, delle tempere.
La rapidità del suo tocco, dedicata al mare e alle navi, si concentra ora nel descrivere lo scatto perenne e fluido del mondo urbano, il desiderio di una quotidianità ricca, lussuosa, luminosa. Le sue figure, per via della velocità del passaggio pittorico, l’uso del colore ora fluidificato ora più asciutto, sembrano fluttuare, sfaldarsi come spuma, fissarsi per un istante, come onde di colore aereo o guizzante.

Come rendere al meglio la bellezza nella velocità di un mondo in cui l’aristocrazia e l’alta finanza, le vecchie fortune e quelle nuove, capi di stato e nouveaux riches si incontrano nei casinò, nelle terme, nei grandi saloni della vita elegante e cosmopolita? Come raccontare l’evanescenza di un mondo irripetibile che la Prima Guerra Mondiale avrebbe spazzato via? La risposta di Mariani si esprime attraverso la condensazione massima del quotidiano attraverso lo scatto sapiente del pennello, la vibrazione dei colori, un effetto di luminosa fantasmagoria nelle donne ritratte, protagoniste in un mondo rimpianto.
Certo è, sulla base delle testimonianze di parenti e colleghi, che questa capacità empatica, questo slancio affettuoso verso la figura e il paesaggio, andasse di pari passo con una bonomia riconosciuta, una simpatia naturale che trova il suo riverbero nelle tante caricature di sua mano, accompagnate da simpatiche battute in lombardo.
Queste testimonianze intime che aprono una porta sul carattere del pittore, così come moltissime delle sue opere pittoriche e altro materiale ad egli collegato, sono custodite dall’Archivio Pompeo Mariani (viale Beatrice d’Este 17, Milano; archiviopompeomariani.org). Fondata nel 2015, questa Istituzione conserva e valorizza le opere e la memoria del pittore, grazie agli sforzi plurigenerazionali della famiglia Pitscheider.
Il nucleo per l’attività dell’archivio è nato dall’opera del nipote di Mariani, Giovanni Battista Pitscheider(1883-1964), figlio di sua sorella Anna. Deciso a proteggere l’opera e il nome dello zio, cui era legatissimo e aveva fatto anche da assistente, questi ha dato inizio ad una catalogazione del materiale legato al pittore, progressivamente incrementata per mole e sistematicità dalle ricerche del figlio Umberto Pitscheider (1918-2013) e del nipote Giovanni Pitscheider (1969), entrambi direttori della fotografia cinematografica.
L’archivio, attualmente diretto da un comitato scientifico di storici dell’arte (Paolo Lunardi Versienti[1],Rodolfo Profumo, Aurora Scotti e Giovanni Pitscheider, presidente e pro-pronipote di Pompeo Mariani), è un’emanazione dell’Associazione Culturale per la tutela, lo studio, la valorizzazione dell’Archivio e dell’Opera di Mosè Bianchi, Pompeo Mariani, Elisabetta Keller: il suo obiettivo è quello di far conoscere a studiosi e appassionati delle nuove generazioni il lavoro e la vita di tre grandi artisti della Milano a cavallo tra XIX e XX secolo. L’Archivio Mosè Bianchi, l’Archivio Pompeo Mariani e l’Archivio Elisabetta Keller hanno stretto convenzioni di studio con università italiane ed estere.
[1] Lo storico dell’arte Paolo Lunardi Versienti è l’autore di Pompeo Mariani (1857-1927). La storia inedita di un grande pittore dell’Ottocento. (pp. 264, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2017, ISBN 9788836638017), la più aggiornata e recente monografia dedicata a Pompeo Mariani, ricca di nuovi apparati critici e bibliografia legata all’artista. All’interno del testo si trovano la prefazione del prof. Fernando Mazzocca (pp 10-11) e saggi della dott.ssa Maria Flora Giubilei (Pompeo Mariani nella Galleria d’Arte Moderna di Genova: storie di committenza, pp. 222-229), il prof. Rodolfo Profumo (Pompeo Mariani nei Musei Civici di Monza, pp. 230-235) e del dott. Omar Cucciniello (Pompeo Mariani alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, pp. 236-241).




