Cinema

Manodopera

Viaggio nella memoria, quasi all’insegna della ‘psicogenealogia’ quello di Alain Ughetto (1950), animatore e regista di ‘Manodopera’, il cui titolo originale (‘Interdit aux chiens et aux italiens‘) ci porta indietro ad inizio Novecento, quando molti dei nostri antenati, ingaggiati come operai, varcavano le Alpi per tentare di sfuggire alla povertà amara della provincia.

Il film è la storia dei nonni paterni del regista, che decide di mostrarsi solo indirettamente, attraverso dettagli del corpo che rimandano alla fisicità del suo mestiere d’artigiano del cinema: le mani che con la colla e il cartone costruiscono le case per i protagonisti in stop-motion, che allisciano il legno e posizionano oggetti, animali e frammenti di carbone per ricreare le montagne dell’ambientazione; i piedi che, per ricordare lo stato degli indumenti degli operai italiani, passano per un attimo davanti alla camera, messa a livello del terreno, con solo una delle scarpe.

Calma, profonda e costante per tutto Manodopera è la sua voce, giacché il film, oltre a raccontare in terza persona le vicende dei protagonisti, è allo stesso tempo un lungo dialogo con la nonna paterna Cesira (voce di Ariane Ascaride), che l’aiuta ad evocare gli episodi di un punto fondamentale nella storia della sua famiglia: il viaggio in Francia.

Gli Ughetto vengono da Ughettera, paesino vicino al Monviso, lembo estremo di un Piemonte che fa parte di un’Italia unita ma invariata nel suo determinismo sociale, fonte di tragedia. In questo piccolo angolo di mondo, la famiglia si dedica interamente ai lavori stagionali, all’estrazione del carbone e al raccolto, la cui parte migliore è puntualmente presa dal parroco locale, che tiene sotto scacco gli abitanti con la minaccia della mancata benedizione alla casa.

Luigi, uno dei tre fratelli Ughetto, conosce Cesira, figlia di un capomastro, durante la sua esperienza nel cantiere del viadotto del Sempione: l’amore è a prima vista ma la vita in patria è una tortura, aggravata dalla guerra in Libia, l’arrivo del fascismo e la fame, esemplificata teneramente con la scena della patata divisa in cinque per i piccoli di casa.

In Francia, dove gli italiani sono ‘elogiati’ per la ‘mancanza di dignità personale’ e la loro ‘abnegazione’ nel lavoro, la mobilità sociale permette finalmente agli Ughetto di costruirsi la casa dei loro sogni, in un terreno chiamato ‘Paradiso’, rifugio felice che però non è immune agli effetti della Storia e della Seconda Guerra Mondiale…

Manodopera’ racconta il dramma dei suoi protagonisti con una calma che è inscindibile dall’affetto. Il suo ritmo lento e pacato, che non cade mai in prolissità, scandisce il tempo che passa e i rivolgimenti della Fortuna, facendoci sentire la tragedia ma in maniera delicata, con il distacco giusto: in questo modo, unendo ai risvolti drammatici delle note fantastiche, rende anche la triste pazienza, la tetragonia dell’umanità che descrive di fronte alle perdite e alle ferite inferte dalla Storia.

Di certo, è un film che andrebbe visto soprattutto nei paesi come il nostro, pieni di storie come questa da Nord a Sud, per non dimenticare quello che intere popolazioni hanno dovuto subire e compiere per raggiungere una vita dignitosa.

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