Albert Finney Audrey Hepburn Due per la strada (1967)
Cinema

Due per la strada

I cinefili sanno che Audrey Hepburn (1929-1984) è stata l’immagine di un’innocenza e di una grazia arrivate sul grande schermo per caso, passando da inizi di ballerina che hanno forgiato la sua aura e la sua “Persona”.

Va sempre detto però che la Hollywood anni ‘50, così disposta a scommettere su di lei (nei primi tempi), la mancanza di un apprendistato attoriale serrato e il suo stesso ambiente d’origine siano stati la sua fortuna ed il suo limite.

La Hepburn giocava su sé stessa perché l’immagine affidatale le permetteva d’essere spontanea, di mostrare la freschezza di un volto non impostato dall’Actor’s Studio o da una qualsiasi scuola: queste premesse hanno creato un tracciato naturale nella sua carriera, rendendola significativa per capire la transizione tra vecchia e nuova Hollywood, pur non dando una mano al pubblico nell’apprezzarla all’infuori di Sabrina (1954) o Colazione da Tiffany (1961).

Si può dire che sia stata una delle ultime icone legate a quell’immagine di candore ed ingenuità che Hollywood stava cercando di diffondere prima che il cinema europeo turbasse l’America con temi più adulti ed immagini più forti.

L’ironia è che il meglio della Hepburn stia in quei film meno conosciuti dal pubblico, laddove i limiti della sua “Persona” arrivano a scomparire: già con Arianna (1957) di Billy Wilder il regista era riuscito a girare l’immagine dell’attrice contro il pubblico, visto che la nostra Audrey entrò (splendidamente) nel ruolo di una ragazza parigina capace di sedurre un magnate americano, facendosi passare per una mangiauomini.

Già in quel film si trova tutto il suo talento per la commedia, così come per il suo erotismo, tanto più vivido quanto più sottile: la sua Arianna ha la spigliatezza dei personaggi di Lubitsch e Wilder così come l’innocenza attratta dalla sensualità delle ragazze di Colette.

Se vogliamo, questo film chiude il periodo della Hepburn “giovane” e apre a quello della Hepburn “donna”. Nei dieci anni successivi possiamo pure contare successi come Colazione da Tiffany (1961) o kolossal come My fair lady (1964) in cui poteva risaltare solo in parte, ma questi non rendono le abilità dell’attrice come ci si aspetterebbe.

Per quello bisogna attendere il 1967, anno dell’unione curiosa tra il regista Stanley Donen e Frederic Raphael, premio Oscar per la sceneggiatura di Darling (1965) con Julie Christie.

Dalla loro collaborazione esce fuori il progetto di Due per la strada (1967), storia di un amore, di un matrimonio e di una disillusione raccontata attraverso continui salti nel ricordo.

I protagonisti, Mark e Joanna Wallace, ripercorrono la Francia del Sud in macchina: sono luoghi che hanno visto nascere e segnato il loro rapporto, reinterpretati col livore del presente e la tenerezza del passato.

La Hepburn trovò per questo progetto un coprotagonista capace di amalgamarsi con lei perfettamente: un giovane Albert Finney (1936-2019) che s’era già fatto un nome con Tom Jones (1963) e aveva poco a che spartire, per la sua energia, con i partner più maturi dell’attrice, come il Bogart di Sabrina (1954) o incolori come il George Peppard di Colazione da Tiffany (1961).

Perdipiù, il temperamento sanguigno di Finney si sposa perfettamente con le sfumature della Hepburn e il tempo non ha danneggiato né il film né le loro interpretazioni.

Due per la strada è un film musicale che s’affida al talento di Stanley Donen (Cantando sotto la pioggia) per coordinare i tracciati temporali e la resa dei minimi fatti della vita di coppia, con le musiche di Henry Mancini come sottofondo.

I viaggi in Francia sono da un lato estratti vari dell’esperienza coniugale e summa di varie fasi del rapporto che accumulano nodi, rimandi, idiosincrasie, momenti di dolcezza raccontati con un’attenzione lucida, attenta.

Dissolvenze, stacchi, rapidità di montaggio fanno capire non soltanto la felicità dell’esperimento per un regista classico come Donen ma anche quanto la scioltezza del cinema europeo sia stata decisiva sulla gestione del tempo.

Audrey Hepburn e Albert Finney in una scena del film Due per la strada (1967)
Audrey Hepburn e Albert Finney in una scena del film. Fonte: imdb.com

Se vogliamo, può essere preso come un film simbolo degli anni ‘60: la sua traiettoria emotiva dalla spensieratezza all’amarezza che cosa ci ricorda se non i facili entusiasmi del secondo dopoguerra, la felicità data dal benessere, la macchina come simbolo di un momento della propria vita e non come semplice veicolo?

In questo senso, il suo essere pienamente frutto di quei tempi lo risalta: se è datato, questo è parte del suo fascino. Mark e Joanna condividono col loro pubblico i sogni e le aspettative, i ricordi di un’epoca che è decaduta nell’arco di un decennio ma che sa farsi universale. Gli anni ‘70, del resto, avrebbero spento quella felicità: dopo la luce arrivano sempre le ombre, lo sappiamo per esperienza ancora prima che per conoscenza storica.

Il Morandini, peraltro, nota giustamente come il rapporto s’incrini man mano che i due sposi diventano più ricchi: quella di Donen non è una condanna del benessere in sé ma del benessere come facciata, come ingombro al rapporto.

E che ironia pensare che Mark Wallace sia un architetto, se ci ricordiamo della speculazione edilizia dei Roaring Sixties!

Fatto sta che per la Hepburn questa sia l’interpretazione della vita: la sua eleganza non la raggela ma la fa aprire alla spontaneità del quotidiano, situazioni più adulte, tinte più vivide e fluide che le appartengono fino in fondo. È finalmente in Due per la strada, avendo attorno dei collaboratori di così alto livello, che si svela attrice matura e finissima.

Poco male che il film sia stato al tempo un insuccesso: al Festival di San Sebastian si guadagnò la Concha de Oro e gli ammiratori della Hepburn sanno cosa cercare per vederla al meglio.

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